Il tè nel deserto (di Bernardo Bertolucci)
di Ciro Discepolo
Rapito dalla magia cinematografica di Bernardo Bertolucci, ho avvertito il desiderio di calarmi più in fondo alla sua arte leggendo le pagine del romanzo a cui il regista italiano si è ispirato, rapito anch'egli da Il tè nel deserto di Paul Bowles, nato a New York il 30 dicembre 1910 (si ringrazia, a questo proposito, l' USIS di Napoli e la Libreria americana di Roma per le ricerche effettuate sui dati di nascita del romanziere). La storia, credo, la conoscono tutti, ma per chi non avesse né visto il film né letto il libro, ricorderò che il racconto è strutturato intorno al viaggio di una coppia di americani in crisi e del loro amico Tunner, dal Nord Africa andando in giù, verso il deserto del Sahara. Il viaggio è evidentemente metaforico e, nasconde, sotto la superficialità della sabbia delle dune nel deserto, il travaglio di un uomo e di una donna in cerca di sé stessi, qualche anno dopo la seconda guerra mondiale. Il deserto è secco e freddo (la notte) ed è sinonimo di Saturno. Saturno è, infatti, lo scrittore americano il cui grafico del tema natale, eretto teoricamente per le dodici, potrebbe essere sbagliato solamente di mezz'ora/un'ora. Paul Bowles, infatti, è fortemente saturnino, con il Sole, Mercurio, Venere ed Urano in Capricorno e, essendo vissuto praticamente per buona parte della sua vita all'estero, potrebbe avere il Sole in nona e quindi Saturno in prima Casa, a dimostrazione di quanto appena detto.
L'aridità e la indifferenziazione potrebbero essere le parole chiave del deserto, come nel Deserto rosso del regista Michelangelo Antonioni :"C'è una ragione che mi fa considerare Deserto rosso come molto differente rispetto ai miei film precedenti: non parla di sentimenti. Arrivo a dire che i sentimenti non vi hanno niente a che vedere. In questo senso, le conclusioni alle quali arrivano i miei altri film sono tenute, qui, per scontate (ottobre 1964, Michelangelo Antonioni, di Giorgio Tinazzi, La Nuova Italia editore)".
E già dalle prime pagine del libro, che si presta a più letture in chiave psicanalitica, prevale una visione freudiana del tessuto narrativo : Port, il protagonista, lasciata la moglie Kit in albergo, si addentra nella campagna, verso sud, dove si vede solamente una grossa bocca nera (la vagina) e dove l'uomo arriva per cercarci l'amore da una giovane e stupenda prostituta.
Il racconto prosegue con il viaggio dei tre verso labirintiche città e verso il "mal d'Africa" che prende ogni straniero.
Il marito e la moglie del romanzo in oggetto cercano di trovare la verità sotto la sabbia del deserto. Il filo conduttore del racconto è il tè bevuto nel deserto, in ogni situazione strana o drammatica del libro. L'autore comincia col raccontare una storia dalle Mille e una notte in cui tre ragazze, Outka, Mimouna e Aìcha , vivono per anni inseguendo un loro sogno : prendere il tè tra le dune e, quando finalmente ci riescono, le loro tazzine si riempiono di sabbia e loro stesse vengono inghiottite dal deserto che, per questo, può essere paragonato ad un grosso "buco nero" stellare.
Più avanti leggiamo che a Port viene rubato il passaporto (ha perso la sua identità) e Kit - sua moglie - lo tradisce col giovane, bello e insignificante Tunner.
Nei viaggi a tappe, sempre più difficili, in direzione del deserto, Bowles ci fa immaginare scenari fantastici, distese enormi, montagne che digradano in valli sconfinate e disabitate : "Se guardo morire una giornata - una qualsiasi - ho sempre la sensazione che sia la fine di una intera epoca. È l'autunno! Potrebb'essere addirittura la fine di tutto, ecco perché detesto i paesi freddi, e amo quelli caldi, dove non c'è l'inverno, e quando scende la sera hai come l'impressione che la vita si schiuda, invece di chiudersi" (pag.83 nell'edizione Garzanti 1989). Il freddo e l'asciutto, Saturno appunto, come dicevo prima. Il prosieguo di Port nel suo viaggio nella vagina-deserto continua con il freddo, il freddo che penetra nelle ossa di Port e che è in contrasto con il caldo asfissiante del giorno. Anche l'isolamento mentale e fisico del sottotenente Giovanni Drogo, costella l' "aridità" del deserto, quello dei Tartari dell'intricato romanzo di Dino Buzzati (Arnoldo Mondadori Editore, 1992).
Il freddo di Port avvolto in pesanti giacconi di lana, metaforicamente è il freddo che c'è dentro di lui, quello che da anni non gli fa fare più l'amore con la moglie. Kit è innamorata del marito e lo segue ovunque, sperando che un piccolo miracolo possa intrecciare di nuovo i loro sentimenti. Continuano nel viaggio-penetrazione su autobus vecchi e malridotti al limite della loro fine. Mangiano cose orribili, per degli occidentali. Man mano che avanzano scompaiono le montagne e si avvicinano sempre di più le dune del Sahara. Le dune che potrebbero essere anche quelle del più bel romanzo di fantascienza, Dune, di Frank Herbert, appunto, dove il protagonista che si chiama Paul (è un caso?) si trova a fronteggiare, sul pianeta desertico Dune, grandissimi mostri che escono dalle viscere della terra.
Gli stessi mostri che divorano, dall'interno, Port che, ormai giunto ai confini del deserto, non riesce più a riscaldarsi neppure con il tè bollente della guarnigione francese e muore di febbre tifoidea, lasciando la povera Kit sola, che scappando tra le dune del Sahara prende anche lei il tè nel deserto, ma poi viene stuprata da nomadi che la portano con loro, sui cammelli.
Il romanzo termina con la pazzia di Kit che non è stata capace di reggere ai "mostri" del Sahara.
Un distico di Kafka presente nel libro, potrebbe terminare bene questo viaggio che ormai ogni lettore ha fatto insieme a Paul Bowles : "Da un certo punto in avanti non vi è più modo di tornare indietro. È quello il punto al quale si deve arrivare".
Ciro Discepolo
Tratto da Estri&Astri, edizioni Ricerca'90